Quando studiai Legge all'università di Roma, si era negli anni fra il 1935 e il 1938. Era l'università del tempo fascista.
Per dare tutto il valore ai miei ricordi, devo precisare quali fossero le mie idee di allora. Ero rimasto sempre rigorosamente antifascista, perché educato in una cerchia famigliare di idee liberali. Al liceo, presso il Collegio Militare di Roma, ero parte di un gruppetto segreto di allievi socialisti e comunisti, che facevano capo al compianto professor Giulio Tarroni, insegnante di filosofia. Passato all'università venni a far parte di uno di quei diversi e isolati gruppetti clandestini di studenti antifascisti dove si trovavano mescolati liberali, socialisti, comunisti e anarchici.
E adesso veniamo ai ricordi. All'università di Roma del tempo fascista tutti i docenti, senza eccezione, erano dei luminari, sovente di fama internazionale, che avevano pubblicato opere fondamentali nelle loro discipline e partecipavano regolarmente ai congressi scientifici internazionali.
Alcuni di questi grandi professori erano dei militanti fascisti, altri erano dei nazionalisti che avevano aderito al fascismo, altri ancora erano magari nell'intimo dei liberali o dei socialisti, ma tutti avevano la tessera fascista perché era la condizione del regime per poter insegnare. Se ben ricordo, non molti portavano effettivamente il distintivo all'occhiello.
Evidentemente, come in tutte le istituzioni umane, anche democratiche, c'erano lotte di potere alla sommità e, per i fini di carriera, anche ai più bassi livelli. Ma il fascismo non tollerava che fra i docenti ci fossero dei somari.
Il sistema universitario fascista era ovviamente autoritario. Ma si trattava di un autoritarismo istituzionale, riflesso del regime politico dittatoriale, e non di atteggiamenti personali di tipo egoico-castale. La sacralizzazione della figura del docente emanava dal regime in connessione col suo prestigio scientifico e la sua capacità didattica.
Corruzione? Manipolazioni con fondi e materiali? Pratiche affaristiche di rettori e docenti? Era ammesso "un poco" ed era sempre in qualche modo osservato. Mussolini é morto povero. Di un gerarca che se ne approfittasse si diceva che era "una buona forchetta". Ma quelle erano forchettine da frutta, non paragonabili ai nostri forchettoni da spiedo di oggi.
Santi Romano, il grande docente di Diritto Costituzionale, un giorno dichiarò davanti a una massa di studenti che "quando si governa unicamente per decreti-legge, non c'é più costituzione". Ci furono molti commenti fra gli studenti. Suppongo che il Federale di Roma abbia debitamente riferito al ministero dell'Interno. Ma apparentemente il sottosegretario Buffarini-Guidi non fece nulla, forse perché l'autorità intellettuale di Santi Romano era troppo grande: senatore, una volta rettore magnifico, socio dei Lincei, autore di 4 trattati di Diritto Costituzionale, Internazionale, Amministrativo e Coloniale.
In Filosofia del Diritto c'era Giorgio Del Vecchio. Quando faceva lezione davanti a 500 studenti, non si sentiva volare una mosca. Seguendo l'ordine dei capitoli del suo famoso libro di testo, il suo discorso era denso di florilegi giuridici sottili come merletti di Burano. Del Vecchio faceva parte di quel folto gruppo di intellettuali ebrei che avevano aderito al fascismo a seguito della stima che il regime aveva dimostrato nei loro confronti. In quanto ebreo fu alla fine rimosso dall'insegnamento. Andai a trovarlo a casa sua per manifestargli la mia solidarietà. Gli dissi: "Ma lei, professore, ha qui sul pianoforte il ritratto del Duce!". Mi rispose con grande dignità: "L'ho sempre avuta, e non vedo perché dovrei toglierla, semplicemente perché sono stato rimosso dall'insegnamento".
In Diritto Civile c'era Filippo Vassalli, e in Procedura Civile Giuseppe Chiovenda, accademico dei Lincei, che aveva formulato scientificamente la teoria del processo civile. Guido Zanobini insegnava il Diritto Amministrativo e Pier Silverio Leicht la Storia del Diritto Italiano.
Per il Diritto Internazionale c'era il professor Tomaso Perassi, famoso giurista noto in tutto il modo, membro della Corte Permanente di Arbitrato, capo del Contenzioso Diplomatico del ministero degli Esteri, poi deputato alla Costituente e membro della Corte Costituzionale. Il suo testo per noi ("Lezioni di Diritto Internazionale") consisteva in due volumetti smilzi, in tutto 282 pagine. Ma erano così densi di dottrina giuridica, e così concisi nelle loro limpide formulazioni, che non occorreva altro. Però l'impegno di studio di questo testo, in termini di ore, era uguale a quello di un testo di 1.500 pagine!
In Diritto Commerciale c'era il friulano prof. Alberto Asquini. Era uno spiritoso, che si divertiva ad assegnare voti di esame anche ai bocciati, per esempio 2, 9 o 17. Una volta a uno studente da respingere disse "Beh, nove! Anzi no, undici, perché è stato raccomandato a mia moglie".
I docenti tenevano le lezioni personalmente. Se erano presi da impegni ufficiali importanti, si facevano sostituire dai loro assistenti, ma mai per argomenti importanti del corso, e la cosa era del tutto eccezionale.
Era sempre possibile conferire con loro, sia pure di sfuggita, al loro passaggio. Prendevano tutte le decisioni e rinviavano poi ai loro assistenti per il seguito. Questi erano molto più disponibili, conoscevano le impostazioni da dare alle tesi e orientavano sulla bibliografia. In realtà questi assistenti erano di alto livello, praticamente quasi dei docenti fatti. In altre parole, non erano degli studenti qualsiasi, alle prime armi, che "facevano" da assistenti.
Avendo deciso di fare la tesi in diritto internazionale, mi rivolsi al professor Perassi che mi dette subito il titolo.
Purtroppo la tesi non mi piaceva affatto, perché mi sembrava noiosa e negativa - "Modi di estinzione dei trattati internazionali". Ma che fare? Non me la sentivo proprio di fare lo schizzinoso con un Perassi!
Alla cerimonia della laurea si dava la dovuta solennità. Il prof. Perassi, pur oberato da impegni ufficiali di alto livello, era naturalmente presente e mi interrogò lui stesso. Mi fece una osservazione giuridica su un punto della tesi che io, nell'emozione, non compresi. Poi mi dette 100 su 110.
Alla laurea ci si presentava in camicia nera. Ma io, quale antifascista, esercitai la facoltà di presentarmi in divisa militare. Così ero in tenuta di tenente di cavalleria, con stivali e sciabola. Salutai facendo scattare gli speroni.
Resta il fatto che i nomi, i volti, le parole dei miei professori dell'università "fascista" sono ancora vivi nella mia memoria alla distanza di sessant'anni.