Qui ci sarebbe molto da dire perché l'argomento è complesso. Cerco di riassumerlo in alcuni punti sommari, sicuro che potrete afferrarli.
La logica della gestione economica della crisi si esprime nelle politiche economiche che si sono dette. Ma questa dimensione della gestione del sistema - le politiche economiche - non può funzionare da sola. Occorre il sostegno di istituzioni politiche appropriate. Perché il neoliberalismo non crea che caos, e una moltiplicazione di conflitti senza alcuna valida soluzione.
Le strutture della vita politica sono state sconvolte dopo la seconda guerra mondiale. Prima di allora, nello stato e intorno a esso, partiti politici, sindacati, confindustrie, ossia il mondo qualificato dai mezzi di informazione come "classe politica", formavano l'ossatura principale di un sistema nel quale potevano esprimersi tutti - movimenti politici, conflitti sociali, correnti ideologiche. Quasi ovunque nel mondo queste istituzioni hanno perduto buona parte della loro legittimità. I popoli non ci credono più. Al loro posto hanno occupato la scena dei "movimenti" di natura diversa, basati su rivendicazioni qualificate come quelle dei Verdi, delle Donne, che si esprimono in favore di una democrazia reale, di una giustizia sociale, dell'ecologia, dell'identità comunitaria (etnica o religiosa). Gli statuti di questi movimenti, le loro forme di organizzazione (o disorganizzazione), i loro modi di espressione, sono di natura diversa da paese a paese: manifestazioni puramente declamatorie operanti attraverso i canali della vita politica (partiti, campagne elettorali), oppure ricorsi alla violenza, con o senza terrorismo. Abbiamo dunque di fronte un nuovo tipo di vita politica, caratterizzato da una estrema instabilità. Di conseguenza, ciò che si impone adesso é una solida articolazione di queste rivendicazioni e di questi movimenti con la critica radicale della società attuale. Ma attenzione! Del capitalismo realmente esistente, non di quello descritto. E una critica radicale della gestione neoliberale mondializzata. In conclusione: ci vuole un rifiuto cosciente e organizzato del progetto societario dei poteri oggi dominanti. Anche qui, cominciate voi, ragazzi e ragazze!
Uno dei maggiori temi dell'offensiva neoliberale si basa su una ideologia ostile allo stato, in tutte le sue funzioni. Ciò coincide con gli interessi delle grandi multinazionali. Ma ovviamente le multinazionali hanno anch'esse bisogno dello stato, se non altro come poliziotto. Per cui ecco gli orientamenti delle forze dominanti: a) nei paesi della periferia si dà la prevalenza alla funzione di poliziotto, escludendo ogni serio tentativo verso la democrazia; b) nei paesi capitalisti sviluppati si mira a forme di "piccola democrazia a bassa intensità", pseudopluraliste e pseudoelettorali (secondo la definizione di Samir Amin). Ovviamente in questi ultimi paesi si é già aperto un conflitto tra le aspirazioni delle maggioranze popolari e i risultati delle politiche miranti alla impotenza degli stati di fronte alla mondializzazione; e alla manipolazione dei mezzi di informazione in forme tali da creare una vera crisi dell'idea e della pratica della democrazia. D'altra parte non si può fare a meno di un poliziotto mondiale, funzione a cui aspirano, al posto dell'ONU, gli Stati Uniti, ma con sempre maggiori riserve da parte di molti paesi. Del resto anche questa primaria potenza ha, come tutte, i suoi limiti, in quanto le guerre devono essere "cofinanziate", le perdite umane nazionali limitate al massimo, e gli alleati di non facile acquisizione.
C'è una strategia politica globale per la gestione mondiale messa in opera dagli Stati Uniti, talora con connivenze anche da parte dell'Europa e del Giappone. L'obiettivo degli Stati Uniti é lo sbriciolamento massimo delle forze potenzialmente opposte al sistema, mediante la disintegrazione delle forme statali di organizzazione della società. Ciò equivale a incoraggiare le rivendicazioni identitarie e comunitarie di natura etnica, religiosa o altra. Ebbene, vi é un principio democratico basilare che dobbiamo affermare con forza: esso implica il rispetto assoluto delle diversità nazionali, etniche, religiose, culturali, ideologiche, principio che non deve essere violato. Su questo punto le sinistre storiche sono state a volte carenti, come del resto anche delle democrazie autentiche (Canada, caso Gran Bretagna-Irlanda, Brasile, razzismo antinero in USA). Il successo di queste rivolte culturali é dunque alla misura delle insufficienze della gestione democratica del potere.
La conclusione? Dobbiamo considerare come progressiste le rivendicazioni che si articolano sulla lotta contro lo sfruttamento sociale e per una più grande democrazia in tutte le dimensioni. In questa fase, di conseguenza, sono progressiste le rivendicazioni che contribuiscono a fare aprire gli occhi di tutti sulle realtà del progetto di società mondializzato neoliberale. Ossia che rifiutano apertamente di sostenere, tollerare o fingere di ignorare, gli obiettivi della mondializzazione capitalista sfrenata, della sottomissione dei popoli alla gestione democratica "di bassa intensità", dell'appoggio ai regimi autoritari ma docili. Per contro, tutte le rivendicazioni che si presentano senza programma sociale, non ostili alla mondializzazione, estranee al concetto di democrazia, sono francamente reazionarie e servono puntualmente gli obiettivi di questo modello di capitalismo in crisi. Attenzione dunque a queste discriminazioni, quando fate casino su questi temi, perché sono un poco sottili e comunque nuove.