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7.6 Ideologie e politiche economiche

Ancora, poco tempo fa il mondo non era incamminato verso la globalizzazione, ne desiderava esserlo. Ancora oggi la grande maggioranza della gente nel mondo conserva tipi di economie tradizionali (di reciprocità e di ridistribuzione, oltre che di mercato). Molti non sono poveri, e un'alta percentuale di quelli che lo sono si trovano in questo stato proprio per le politiche di un preteso libero mercato che qui condanniamo. Molti governi di paesi non industrializzati non hanno mai accettato l'idea che la distruzione delle loro economie locali possa migliorare la loro vita.

D'altra parte un "nuovo ordine mondiale" in senso solo economico, e non anche sociale, non può esistere. In altre parole, il famoso "Nuovo Ordine Economico Internazionale", o NOEI, periodicamente riproposto in particolare dagli Stati Uniti, non è che uno specchietto per le allodole. Le realtà concrete sono ben diverse. Oggi i superconsumatori sono il 20% della popolazione mondiale, e consumano l'80% delle risorse. Mentre il 20% dei marginali, al fondo della scala, vivono in uno stato di totale povertà. Dal punto di vista del reddito mondiale, l'82,7% va al 20% superiore. Mentre il 20% inferiore riceve l'1,4%, ossia 60 volte di meno. E dire che queste proporzioni sono calcolate sui livelli medi nazionali, non sui redditi individuali, perché in questo caso la differenza sarebbe di 150 volte.

Bisogna una buona volta tracciare una netta distinzione fra politica economica e ideologia economica, altrimenti non si capisce più niente.

L'intero secolo 20° è stato segnato dal conflitto tra le due ideologie estreme del "tutto stato", o socialismo selvaggio alla sovietica, e del "tutto mercato" o liberalismo selvaggio all'americana. Queste concezioni estreme sono appunto delle ideologie e quindi non rientrano tra le forme proprie di politica economica che si articolano invece, secondo i tempi, i luoghi e i bisogni, fra una "prevalenza" dello stato, e una "prevalenza" del mercato nell'economia.

Ciò implica che, volta a volta, ci si possa riferire all'uno o all'altro degli elementi dell'economia derivati dalle teorie di Adam Smith, Marx, Walras, Keynes, von Hayek, fino ai recenti. La pretesa di voler collegare una ideologia ai classici o ai neo-classici è una semplice soperchieria.

L'Europa infatti, per ragioni culturali e storiche, e grazie a una lunga e ormai secolare dialettica di lotte sociali, ha saputo mantenersi nell'economia su queste basi reali, scientifiche e non ideologiche. Tanto è vero che i suoi governi conservatori non promuovono mai un liberalismo selvaggio all'americana, e i suoi governi social-democratici non perseguono mai un socialismo selvaggio alla sovietica.

Le due ideologie estreme non possono dar luogo che a diverse forme di tirannie: nel primo caso quella delle multinazionali fiancheggiate da una élite economica e politica; nel secondo caso quella della dittatura fiancheggiata da una nomenclatura di regime.

Contrariamente a quanto sostenuto dagli ideologi dei due campi, mercato e stato hanno bisogno l'uno dell'altro, e con poteri rispettivi che si trovino più o meno in equilibrio. Ciò richiede una pratica di democrazia pluralista istituzionalizzata ed efficiente.

Per la teoria e la pratica economica è pacifico che i mercati distribuiscono risorse efficientemente solo quando sono in concorrenza, e quando le imprese pagano per gli effetti sociali ed ecologici delle loro attività, ossia quando internano i loro costi di produzione. Ciò richiede che i governi stabiliscano e impongano norme tali da rendere questo internamento effettivo. E poiché le imprese di successo diventano sempre più grandi e monopolistiche, i governi devono continuamente intervenire per frazionarle e ristabilire la concorrenza. Per poter fare questo devono necessariamente godere di poteri uguali a quelli del mercato.

Una volta che il potere del mercato si espande oltre i confini dello stato-nazione tramite la globalizzazione, la concentrazione dei poteri del mercato va oltre le possibilità di controllo dei governi. Questa è infatti oggi la principale conseguenza dei programmi di "aggiustamento" della Banca Mondiale, del Fondo Monetario e degli accordi commerciali negoziati tramite l'OMC. Le massime decisioni sono state trasferite dai governi - che in teoria dovrebbero rappresentare gli interessi dei cittadini - alle imprese multinazionali che per loro natura servono solo gli interessi dei loro azionisti e dirigenti (specie questi ultimi).

In 13 anni, dal 1980 al 1993, le 500 maggiori imprese hanno soppresso 4,4 milioni di impieghi; hanno aumentato le vendite di 1,4 volte, il patrimonio di 2,3 volte, i dividendi di 6,1 volte. Una impresa nella quale 5 aziende controllano il 50% o più del mercato è considerata dagli economisti come monopolistica. Secondo l' Economist, 5 imprese multinazionali controllano più del 50% del mercato mondiale in beni di consumo durevoli, autoveicoli, aerei, prodotti aerospaziali, componenti elettronici, elettricità, elettronica, acciaio. E 5 imprese multinazionali controllano il 40% del mercato del petrolio, dei computer personali e - cosa gravissima per il pubblico dibattito - dei mezzi di comunicazione e di informazione.

Ecco, cari studenti, questa è la famosa globalizzazione o mondializzazione dell'economia che ci viene propagandata dalla stampa e dalla televisione.

Ecco perché, in vista del futuro, vi prego di esercitare continuamente il vostro più acuto senso critico. Alcuni di voi potranno forse preferire questa soluzione per l'economia mondiale. A questi chiedo, prima di fare le loro scelte di azione, di tener conto di quanto vi ho qui esposto.


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