Del resto tutti i paradigmi in base ai quali il sistema giustifica le sue scelte sono falsi. A cominciare dall'assunto che un mondo finito possa sostenere un sistema economico basato su una crescita senza limiti. Quanto poi al "libero mercato", l'unica cosa "libera" è la libertà delle multinazionali di privare della libertà chiunque altro. Compresa la libertà dei paesi democratici di difendere le loro economie, comunità, culture ed ecologie. In conclusione, chi può guadagnare da questa globalizzazione dell'economia sono solo le multinazionali e i super-ricchi.
Abbiamo già detto che se prendiamo su Internet il "sito" Banca Mondiale, troviamo una ottimistica descrizione della sua organizzazione, mentre il solo riferimento critico allude ad "alcuni osservatori" che lamenterebbero nella Banca una certa mancanza di sensibilità sociale! Orbene, quali sono le condizioni che la Banca Mondiale correntemente impone per i suoi interventi di "riaggiustamento" delle economie? Eccole: 1) abolizione delle tariffe doganali protettive, che mette in pericolo l'industria nazionale; 2) soppressione delle norme di controllo degli investimenti esteri che vengono a dominare l'industria locale; 3) conversione di una agricoltura diversificata, a scala ridotta e bastante a sé stessa, in monocolture di esportazione che riducono le possibilità alimentari delle popolazioni; 4) eliminazione del controllo dei prezzi, ma imposizione di un controllo sui salari; 5) drastica riduzione dei servizi sociali e sanitari; 6) privatizzazione aggressiva delle società di stato; 7) fine dei programmi nazionali di import-substitution. Questi sono mezzi il cui unico risultato può essere solo quello di paralizzare i tentativi di un paese di sopravvivere. Ecco che cosa fa la Banca Mondiale che tutti i nostri mezzi di informazione trattano con una specie di timor majestatis.
É strano come delle società possano distruggersi per la loro incapacità a riesaminare la validità delle loro ideologie economiche al mutare delle circostanze. Gli economisti infatti, come tutti i vari "credenti", non sanno guardare al di là dei loro schemi di pensiero.
Non si accorgono, ad esempio, di quanto i loro principali strumenti di indagine sul progresso economico siano illusori: il Prodotto Nazionale Lordo (GNP), il Prodotto Interno Lordo (GDP)... Su queste basi, una maggiore attività economica significa una economia più florida. Quindi anche, per esempio, l'eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, la costruzione di più prigioni, la produzione di armi belliche. Per contro, non rientrano nella attività economica altre cose ben più desiderabili, come il lavoro domestico, la custodia dei bambini, i servizi comunitari, la produzione di alimenti e beni durevoli artigianali, destinati al consumo anziché alla vendita. Tutte queste cose non figurano nelle statistiche economiche.
Il non tener conto dell'economia cosiddetta "informale", che sfugge alle statistiche, è una bestialità economica.
In uno studio da me fatto sull'economia informale dell'Africa Occidentale, ho potuto constatare che le esportazioni di bestiame dal Niger alla Nigeria erano sempre molto superiori alle risultanze delle statistiche doganali: in un anno record lo furono di ben 27 volte!
La Commissione Europea ha il problema allo studio: sembra che, se si tenesse conto dell'economia "informale", al PIL dei paesi dell'Unione Europea bisognerebbe aggiungere dei coefficienti considerevoli: da un minimo del 3,7% per la Finlandia, a un massimo del 25% per l'Italia.
Ma le teste d'uovo degli attuali economisti non se ne accorgono. Per un fenomeno di "scotomizzazione" non "vedono" fenomeni che sono al di fuori del loro paradigma, fondato solo su analisi quantitative e su un uso improprio delle statistiche. I bilanci della Banca Mondiale sono pieni di cifre messe tra parentesi (il che sta a significare valutazioni "a lume di naso"), oppure comprendono voci prive di cifre e indicate "per memoria". Da notare che con adeguati strumenti statistici di carattere socio-economico sono quantificabili, con buona approssimazione, anche elementi puramente qualitativi! Perché qualche luminare della scienza economica non si occupa di questa ricerca in vista di un premio Nobel?