Questa ultima considerazione ci porta alla bruciante questione della reale qualità del mondo accademico, e quindi dell'università italiana, a paragone di quelle degli altri paesi europei.
Le conseguenze dell'inondazione provocata negli anni Settanta dalla partitocrazia sono state gravissime e durature. Intorno all'80% dei professori attuali sono entrati in ruolo non per concorso ma "ope legis" o mediante "giudizi di idoneità" addomesticati a fini di politica di partito.
Per cui non si sa mai con chi si ha a che fare. Dato che tutti questi docenti hanno fattezze umane, nessuno arriva a distinguere, e nemmeno gli studenti, quali siano metaforicamente cavalli da corsa, quali brocchi o cavalli da tiro, quali muli o somari. Bisognerebbe trovare delle occasioni di conversazione approfondita, di vero scambio intellettuale, che può essere anche breve. Ma queste, forse non a caso, non ci sono mai.
Si ha troppo spesso il sospetto che certi docenti non conoscano una vera e propria vita intellettuale, una passione per lo studio, il gusto di scrivere. Ciò che fanno, e che pubblicano, sembra essere solo in funzione della carriera accademica, di un insegnamento concepito in senso burocratico e utilitario, simile a quello dei "ciceroni" per uso dei turisti.
A mia conoscenza ci sono oggi in cattedra due docenti di Storia dell'Africa (ma quanti saranno?) i quali continuano a ripetere agli studenti che, in fondo, di una storia dell'Africa non si può propriamente parlare, eccetto che a partire dalla Conferenza di Berlino del 1884 e dalla occupazione coloniale. Ebbene, con questa prese di posizione non é assolutamente possibile che questi cosiddetti docenti abbiano letto Benedetto Croce o Piero Rossi per la storiografia, e storici dell'Africa come Cornevin, Dechamps, Fage, Ky-Zerbo, i volumi dell'UNESCO, quelli di Cambridge, e le opere di antropologi culturali come Georges Ballandier. Non solo la astoricità dell'Africa fu sempre negata, ma lo fu anche la astoricità, sostenuta da alcuni, di certe ristrette aree del continente di foresta equatoriale. Si direbbe che questi paradocenti non abbiano ancora superato le impostazioni razziste diffuse all'inizio del secolo da autori come J.A. da Gobineau, C. Vacher de Lapouge, o H.S. Chamberlain. Sarebbe veramente interessante vedere i titoli che questi docenti hanno presentato in occasione dei "giudizi di idoneità" o dei concorsi di cattedra.
Col famoso D.P.R. n. 32 del 1980, si ebbe una riforma sotto il segno di una pretesa "autonomia" dell'università. In effetti essa fu invece una "controriforma" che sanzionava, a livello nazionale, il sistema accademico-professionale-clientelare nella sua autonomia rispetto allo stato e alla società.
Vennero introdotti nuovamente i concorsi di cattedra, privandoli però di ogni possibilità di effettiva selezione dei candidati alla docenza. Si ammetteva, ad esempio, la possibilità di "salti di livello", anzi addirittura dei "doppi salti" (candidati che diventano "ordinari" saltando i livelli di ricercatore e di associato).
Inoltre fu istituito il sistema dei cosiddetti "raggruppamenti disciplinari" tramite gesticolazioni epistemologiche che hanno dell'incredibile. Un candidato a un concorso non può indicare una disciplina precisa nella quale desidera essere giudicato. E d'altra parte, se vince, é implicitamente riconosciuto capace di insegnare tutte le discipline che fatto parte del raggruppamento. Anche a Gorizia e a Trieste si notano casi di docenti incaricati di insegnare materie che non sono le loro. Si preparano sui testi per insegnare allo stesso modo degli studenti che devono sostenere un esame. I commissari possono quindi non sapere ne capire nulla dei lavori che il candidato ha presentato come titoli per l'ammissione alla cattedra. Questo sistema pertanto non assicura per nulla che dei candidati competenti siano giudicati da commissari altrettanto competenti. Anzi, al contrario, l'incompetenza dei giudici può essere usata come mezzo per promuovere candidati somari.
Così i titoli presentati dai candidati ai concorsi di cattedra - come le attività di ricerca intraprese, le opere pubblicate (libri effettivamente in libreria), le esperienze già acquisite nell'insegnamento sia in Italia che all'estero, il prestigio intellettuale e culturale - possono essere molteplici e importanti, ma tuttavia non contano nulla, e spesso non vengono nemmeno esaminati. O meglio, contano in una sola direzione. Sono efficaci per varare un candidato già prestabilito, non per uno che tale non sia. Avviene così che un grosso pacco di opere importanti pubblicate, di memorie a congressi internazionali, di dispense, di seminari tenuti in università straniere, può essere eliminato da una pacchettino di studietti, memoriette e ricerchine adeguatamente conditi di articoletti su giornali e riviste di provincia. Si tratta perlopiù di quelle monografie ripetitive e circoscritte di nessun valore, a scopi puramente concorsuali, finalizzate alla sterile sopravvivenza e riproduzione di una data comunità scientifica.
La circostanza che alla cattedra arrivi un docente di grande valore, o un somaro, dipende solo dagli scambi di doni e dai baratti che intervengono tra dinasti e famiglie accademiche, in appoggio ai rispettivi "figli", clienti, portaborse. Tutto ciò é molto triste quanto rivoltante, specie se si pensi che ormai la solidarietà mafiosa é arrivata a mettere in soffitta persino quelle solidarietà di tipo ideale come, ad esempio, il movimento del '68.
Può certo accadere un incidente. Un candidato di valore sacrificato può rivolgersi alla magistratura e chiedere al ministero l'annullamento del concorso... Ma allora la tattica é quella di far passare del tempo, nella speranza che le acque si calmino, che le memorie si affievoliscano, per poi riprendere il gioco mafioso in forme più prudenti e sottili.
E' infine, il D.P.R. n. 382 del 1980 ha stabilito il carattere elettivo di tutte le cariche universitarie. Questo fu il "dulcis in fundo" dell'organizzazione mafiosa. Infatti, in questo modo, alla mancanza di qualsiasi controllo di efficienza da parte dello stato, venne ad aggiungersi anche la assenza di qualsiasi controllo all'interno del sistema. Come potrebbero dei rettori, presidi e capi di dipartimento controllare coloro dai cui voti i loro poteri dipendono?
In conclusione, questo disordine organizzato non é frutto di incapacità amministrativa o inefficienza, ma é deliberatamente inteso a rafforzare in ogni dettaglio le possibilità operative del mondo accademico nel quadro del clientelismo e della cultura di mafia.
Tutto ciò ha avuto un altro risultato importante per il "sistema". Ha permesso lo sviluppo e la affermazione delle cosiddette "famiglie", ossia delle "dinastie" accademiche e delle "famiglie" accademiche fondate su principi socio-etnologici. Queste "affiliazioni" possono realizzarsi già all'inizio di una carriera, mentre alla fine di essa sono trasmesse ad altri per assicurarne la continuità.
Il peso di queste affiliazioni rende il ruolo del professore del tutto chiuso agli scambi con l'esterno. Rende questo ruolo ereditario, endogamico, provinciale e innatista. E' quindi un ruolo estremamente primitivo nei suoi costumi di gruppo e nelle sue relazioni sociali. Non solo non si può essere degli outsiders, ma nemmeno dei "cani sciolti", ossia dei docenti perfettamente integrati nel sistema accademico pur non facendo parte di dinastie, famiglie e cosche. Basti pensare che Carlo Rubbia di Trieste, premio Nobel, prima di essere chiamato nientemeno che all'Università di Harvard negli Stati Uniti, non era stato ammesso a un insegnamento all'Università di Lecce.
Non c'é solo un problema di "figli", ma anche di "padri". Se uno vuol essere un "padre accademico", ossia un Barone (o Mandarino, o Bonzo), deve per forza avere dei figli e deve poterli piazzare, onde assicurare la propria riproduzione. Tantopiù che la prole é un segno di potenza all'interno della corporazione, e al tempo stesso una forma di difesa dal mondo esterno. Come nelle società tradizionali, questo sistema di parentela, basato sulla famiglia estesa, ha anche i suoi rituali. La pratica dello scambio di doni, ossia di favori, spesso regolati da forme di baratto. E mezzi appropriati di risoluzione dei conflitti onde assicurare quanto più possibile la "pax accademica".
Queste strutture famigliari concorrono a rafforzare il consociativismo e ad assicurare ai membri della corporazione la più piena libertà nella scelta e nell'esercizio delle loro attività, anche con sacrificio della funzione accademica, e senza dover rendere conto a nessuno. Non allo stato, non agli studenti, non alla società nel suo complesso.
In sostanza, accanto alla mafia storica che é contro la legge, e che lo stato sta combattendo con un certo successo, abbiamo una mafia accademica che é in tutto e per tutto legale; sebbene nei riguardi degli studenti e della società, sul piano accademico e culturale, eserciti gli stessi effetti della mafia storica.
Ovviamente i molto numerosi docenti eccellenti e prestigiosi sono consapevoli che molti dei loro colleghi siano dei somari. E questi ultimi non possono non sentire anch'essi, almeno a livello inconscio o preconscio, questa fatale differenza frutto dei concorsi di cattedra disciplinati dal DPR n. 382 del 1980. Ma che fare? Nella cultura di mafia in cui vive la società italiana, un conflitto non porterebbe che alla vittoria dei somari. In mancanza di un intervento massiccio della pubblica opinione, del parlamento, del governo e degli studenti, non può quindi che aversi un accordo tacito fra tutti gli interessati del mondo accademico di dimenticare il passato e consolidare la realtà presente.