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6.5 Appello agli studenti

Una tradizione di lotte

Questo è l'appello più importante ed essenziale per le sue potenzialità di riforma dell'università. Tutta la storia sta a dimostrare che nelle riforme delle società e nelle lotte per la libertà e contro l'ingiustizia, nella maggioranza dei casi sono stati gli studenti a scendere in campo per primi. Tienanmen!

Gli studenti si sono generosamente sacrificati, affrontando sovente la sconfitta, il carcere e la morte. Sono centinaia i casi nella storia. Pochi anni fa, nel marzo 1991, sono stati gli studenti del Mali a rovesciare dopo 15 anni il dittatore in carica avviando una evoluzione democratica di questo paese dell'Africa occidentale. Il ponte sul Niger a Bamako si chiama ora "Pont des Martyres", perché molti studenti che lo occupavano furono falciati dai mitra delle forze di repressione. É il loro sacrificio che alimentò l'ostilità popolare inducendo un altro militare a prendere il potere per organizzare le prime elezioni democratiche. Recentemente in Indonesia, il trentennale tiranno Suarto non avrebbe mai potuto essere rovesciato senza gli studenti.

La rivoluzione studentesca del 1968 in Europa, estesasi anche ad alcuni paesi del Sud, e alla quale si aggiunsero molte forze sindacali, è stata di grande importanza storica e culturale. La società del tempo vi resistette, ma la sconfitta degli studenti sul piano culturale e politico fu relativa, perché vari temi culturali di carattere generazionale si fecero strada definitivamente nella coscienza popolare di diversi paesi. Essendosi molto scritto sul '68 è inutile ritornarvi qui, ma un solo esempio: è col '68 che le opinioni pubbliche si accorsero dell'esistenza di Marcuse, della scuola di Francoforte, del concetto dell' "uomo unidimensionale", ancora oggi obiettivo delle multinazionali e degli epigoni della forma presente di capitalismo.

Gli studenti quindi, come si vede dalla storia, possono avere un peso politico e culturale. Ma una questione importante è quella delle strategie più efficaci da parte loro per farsi sentire. In tema di strategie rivoluzionarie e di contestazione, il nostro secolo ha conosciuto una importante evoluzione. Infatti gli eventi del '68, con battaglie di strada, bottiglie molotov, incendio di macchine della polizia, hanno in fondo rappresentato l'ultima lotta condotta nello stile del secolo scorso. Nel nostro secolo è emersa un'altra forma rivoluzionaria che si è dimostrata più efficace, almeno quando non sussiste una situazione di vera e propria guerra civile. É quella della "non-violenza", inaugurata del Mahatma Gandhi in India sotto l'impero britannico, nel 1929, con la famosa marcia alla costa contro il monopolio del sale: partito con un piccolo gruppo di fedeli, arrivò alla costa con dieci milioni di manifestanti pacifici.

La non-violenza un po' alla volta è entrata nelle strategie di contestazione dell'ordine esistente, in primo luogo fra i giovani, gli studenti, e altri settori popolari da essi ispirati. Forse uno dei primi casi a rivelare i risultati della non-violenza si ebbe in occasione di un tentato colpo di stato contro la presidente delle Filippine Cori Aquino. Settecentomila persone, perlopiù giovani e studenti, nel grande parco di Manila, presero a lanciare fiori e baci alle forze dell'ordine praticamente paralizzandole.

Certamente queste speravano almeno in una bottiglia molotov, che avrebbe fornito un motivo per intervenire, ma questa non ci fu! É stata la vittoria della nuova strategia della non-violenza.

D'altra parte in questo ultimo decennio si è avuto un notevole progresso nella varietà delle iniziative giovanili che hanno assunto molteplici forme di associazionismo spontaneo nella difesa dell'ambiente, nel volontariato e nelle più diverse attività di carattere sociale, culturale, politico. Questa evoluzione ha prodotto anche un arricchimento nelle forme di contestazione non-violenta. Alle classiche dimostrazioni di piazza e ai cortei, si sono aggiunti i sit-in di lunga durata (coi sacchi a pelo), di stile Tienanmen, i canti al suono di chitarre, la famigliarizzazione con le forze dell'ordine, gli inviti alla partecipazione degli adulti.

Oggi il movimento di solidarietà giovanile è andato assumendo una dimensione cosmopolita, superando le frontiere nazionali, continentali, razziali, culturali. Un primo sintomo si ebbe con l'esperienza di Taizé, il centro ecumenico francese del Frère Roger, dove regolarmente si incontrano dai 15.000 ai 20.000 giovani di tutte le provenienze e di tutte le idee o fedi, religiose o laiche. Si organizzano in campeggio.

Ma l'evento più spettacolare fu l'incontro dello scorso anno a Parigi intorno a Papa Wojtyla. Un milione di presenze, e forse nell'ultimo giorno, al Bois de Boulogne, 1.100.000. C'erano giovani di tutte le parti del mondo. Tutte le fedi e tutte le idee erano rappresentate. C'erano certo, accanto a cattolici e protestanti praticanti, quelli che invece facevano lo Zen o lo Yoga, e chissà quanti erano quelli che si sentivano francamente "agnostici"! Ma quelle masse di giovani, forse la maggioranza, non erano lì per un convegno religioso, sia pure ecumenico. Erano a Parigi per un incontro con Papa Wojtyla, non tanto come capo della Chiesa di Roma, quanto come grande simbolo di vita e di speranza. Perché molti non lo hanno visto che da lontano e non hanno potuto udire neanche una delle sue parole...

In Africa mi è capitato di assistere al primo incontro di uno studente africano e uno studente europeo che non si conoscevano, perché l'africano non era mai stato in Europa, e l'europeo era in Africa per la prima volta. Ebbene, parlavano delle stesse cose, il discorso si intrecciava subito su tutto - cultura, materie di studio, situazioni nelle rispettive università, politiche ed economie interne e internazionali, neoliberalismo selvaggio e imperialismo americano, il tutto ovviamente tra scherzi e risate...

Del resto le migliaia di studenti cinesi che avevano occupato pacificamente Tienanmen (La Porta della Pace Celeste) non avevano contatti con l'Occidente, non miravano a rovesciare il governo cinese, ma intendevano manifestare delle semplici aspirazioni che, guarda caso, erano analoghe a quelle di studenti di Roma, Parigi, Lisbona, Buenos-Ayres o Londra.

Il '68, Taizé, Tienanmen, Manila, Papa Wojtyla, l'Africa...

Siamo dunque in presenza di un fenomeno storico nuovo, che sembra avere due aspetti salienti. Primo aspetto: il conflitto generazionale che è presente in ogni società tradizionale o moderna, piccola o grande, grazie allo sviluppo delle comunicazioni di ogni tipo, si é mondializzato. Secondo aspetto: se in ogni paese e cultura le nuove generazioni comprensibilmente contestano con obiettivi diversi l'ordine imposto dalla generazione anziana, per quanto riguarda il futuro le nuove generazioni del mondo vogliono tutte più o meno le stesse cose.

In conclusione, si può dire che la attuale generazione di giovani sta impostando una "rivoluzione culturale" a livello mondiale, che segna un distacco evidente dalla generazione precedente, e che si situa già nel prossimo secolo.

La lotta per una nuova università

La rivoluzione culturale in atto fra i giovani di tutto il mondo deve trovare in voi un'espressione anche e in primo luogo per quanto riguarda la radicale riforma del nostro sistema universitario. Ma ciò pone tre condizioni pregiudiziali: l'organizzazione, gli obiettivi, lo spirito.

Ignoro quale sia lo stato attuale di organizzazione delle associazioni studentesche. Probabilmente varia da una università all'altra. Temo però che troppo spesso si riduca a poca cosa: elezioni condotte con larghe astensioni dal voto; qualche centinaio di iscritti che dovrebbero rappresentare diverse migliaia di studenti; mancanza di obiettivi bene elaborati e a lungo termine; interventi e agitazioni occasionali in vista di obiettivi particolari e limitati.

Questo non va! Bisogna, fare uno sforzo serio. Se per avventura ci fossero pericoli per la nostra democrazia e per le nostre libertà, provenienti dall'interno o dall'esterno, certamente prenderemmo tutti le armi per fare la guerriglia... Se si è pronti a fare il più, si deve anche saper fare il meno. Qui non è una questione di lotta armata, ma di una lotta pacifica che richiede impegno, fermezza e associazioni universitarie bene organizzate. Lo stato attuale dell'università in Italia non è uno di ordinaria amministrazione che necessiti semplici correttivi. É un sistema perverso, creato dalla partitocrazia della prima Repubblica, che deve essere distrutto e ricostruito dalle fondamenta.

In secondo luogo ci vogliono degli obiettivi bene elaborati, chiari, a lungo termine. Bisogna farla finita con le piccole agitazioni attuali su strutture scolastiche, mezzi didattici, certi diritti specifici degli studenti, borse di studio, tasse universitarie. Agitazioni tutte che passano come un grande o piccolo temporale, senza lasciar nulla dietro di loro, salvo forse che un liceo distrutto. Nel caso nostro non ci sono solo problemi, comuni ad altri paesi, riguardanti l'adeguamento dei servizi universitari all'aumento considerevole della popolazione studentesca. Da noi ci sono in primo luogo i gravissimi problemi, sconosciuti altrove, della cultura di mafia della corporazione accademica; della bassa qualità media dei docenti ereditati dalla partitocrazia degli anni Settanta; del totale dispregio per gli interessi culturali, scientifici e didattici degli studenti, che sono considerati solo come strumento degli interessi personali e clientelari della corporazione accademica.

In terzo luogo, lo spirito di questa lotta. Essendo una lotta qualificata, articolata e complessa, non può essere condotta con spirito, diciamo, "goliardico", ma con iniziative serie, politiche, democratiche, razionali, ferme e senza compromessi. Gli argomenti, i comportamenti, gli atteggiamenti, devono essere uguali, o superiori, a quelli degli eventuali interlocutori. Bando quindi agli atteggiamenti e ai linguaggi superficiali, emozionali, teatrali, inutilmente aggressivi. Raccomanderei ciò soprattutto ai sociologi, e ancor più alle sociologhe. Niente contestazioni di tipo demagogico, basate su "ego" personali, perché questo non farebbe che concorrenza agli "ego" della corporazione accademica.

E del pari, vorrei pregarvi, negli scontri verbali con autorità politiche o amministrative, non fate casino, non adottate toni da zuffa. Lasciate parlare gli interlocutori senza interromperli, e parlate a vostra volta quando hanno finito. Altrimenti non fate che imitare il malcostume di certi partecipanti al Porta-a-Porta, parlamentari, professionisti, esponenti di partito, che parlano tutti insieme, interrompendosi a vicenda, e cercando di superarsi con la voce anziché con gli argomenti, al punto che il povero Bruno Vespa non sa come controllarli, e gli ascoltatori non capiscono nulla.

Tuttociò non è che un sintomo di immaturità democratica che voi dovete contribuire a correggere. Chi di voi è stato in altri paesi europei, negli Stati Uniti o anche in Africa sa bene che l'interrompere un interlocutore prima che abbia finito è considerato quasi come un crimine, e squalifica una persona.

Gli obiettivi

Le strategie di lotta non-violente

Quali le forme di contestazione, di protesta, di pressione per ottenere i migliori risultati? Quali le azioni e le manifestazioni per presentare gli obiettivi della riforma al Governo, al Parlamento e all'opinione pubblica?

Iniziative e tattiche intrauniversitarie

Che cosa fare dentro all'università?

Io non so cosa voi vorrete o potrete fare, e non posso sostituirmi a voi. Vi dirò quindi solo quello che proporrei se mi trovassi alla vostra età e in una riunione organizzata a questo fine.

Insomma, ragazzi e ragazze, dovete muovervi!

D'altra parte, io non vorrei certo fare quello che dice "Armiamoci e partite". Se mi avvertite in tempo, cercherò di partecipare a qualche vostra manifestazione o sit-in (ho il sacco a pelo). Anche se mi trovo ormai sul versante dell'età, con un numero di anni che vi tengo segreto, mi capita ancora di andare a cammello nel deserto africano.

Non dico che verrei alla manifestazione in cammello, ma se aspettate ancora troppo, finisce che mi vedrete in carrozzella... Ma anche in questo caso, ci sarà pure qualcuno di voi che mi spingerà a turno.

A ciascuno di voi, studenti italiani, vorrei dire Hasta la victoria siempre!. Dovete prendere in mano la modernizzazione della nostra società. Basta con la mentalità utilitaria e antisociale di vecchi comuni e province. Basta con i Machiavelli e i Guicciardini. Basta con i giuramenti di Pontida e le disfide di Barletta. Basta con le mafie di tutti i tipi. Vogliamo un'Italia europea!


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