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5.1 La fatale delusione

Nei primi anni di Gorizia mi sentivo sereno e affascinato da questa esperienza, cui dedicai tempo e pensiero.

Ma poi, un po' alla volta, mi accorsi che ciò era dovuto solo al mio continuo, congeniale e fecondo contatto con gli studenti, in classe e fuori. Avvertii che accanto e intorno a loro c'era come un vuoto, e oltre il vuoto una ben diversa realtà. Mi tornò allora in mente il ricordo dei passati apprezzamenti dei miei amici docenti di ruolo a proposito della "pessima atmosfera" e dell' "ambiente deteriore" che contaminavano e guastavano il mondo accademico italiano.

Mi accorsi con stupore e crescente tristezza di quanto fondati fossero questi giudizi, e quanto grave la situazione delle nostre università, al punto che nemmeno il campus ameno e tranquillo di Gorizia era stato risparmiato. Anche a Gorizia dunque era filtrata la avvilente realtà del nostro sistema accademico che abbiamo descritto. C'era tutto. Non mancava niente.

Col tempo potei individuare in particolare cinque aspetti in questa realtà: un autoritarismo di stampo personalistico; una assoluta mancanza di comunicazione; l'assenza di ogni costume democratico; un meccanismo didattico ordinato esclusivamente in funzione degli interessi dei docenti, con totale sacrificio di quelli degli studenti; un atteggiamento indegno nei riguardi dei docenti a contratto. Vediamo un poco.

Autoritarismo di stampo personalistico. Da notare anzitutto che, al di fuori del contesto della corporazione accademica, si tratta sempre di personalità del tutto normali e qualificate. Ossia di persone degne, cortesi, che nelle loro rispettive cerchie famigliari e di amici possono essere normalmente cordiali, sensibili, affettuose. Non si capisce perché nei loro rapporti all'interno dell'università debbano andare soggette a delle così radicali trasformazioni, che ricordano quelle del Dr. Jeckil. Tanto che si può riesumare, nei loro confronti, il famoso detto sul senato romano (Senatores boni viri, Senatus mala bestia), adattandolo al caso: Professores boni viri, Athenaeum mala bestia.

Il potere effettivo sul corso di laurea é molto concentrato alla sommità, mentre intorno ad esso vi é un numero ridotto di docenti di fiducia, in posizione ostensibilmente sottomessa, che gli studenti definiscono "impastati".

Questo centro di potere è inaccessibile, sia di fatto che forse anche per sua deliberata volontà. Le espressioni dei volti sono di sovente severe e scostanti nei riguardi sia degli studenti che dei membri del corpo accademico non figuranti fra gli "impastati". E particolarmente nei riguardi dei "contrattisti" che, pur costituendo una maggioranza dei docenti (il 60%), sono considerati come non facenti parte del mondo universitario, ossia come presenti sulla scena per puro caso.

Se uno si indirizza a qualcuno di questi potentati, magari per un atto di pura cortesia, in uno spirito di comunicazione, ecco che appare subito nel suo volto una espressione di sorpresa e di sospetto; che si distende poi solo alla constatazione dell'intento assolutamente benevolo e umano del gesto. É come un ringhio rientrato.

Sussiste l'uso di mai salutare per primi; di mai rivolgere a qualcuno un sorriso; di mai chiedere affabilmente come stia, se abbia dei problemi; sia esso un collega di ruolo, un contrattista, uno studente.

Questo ristretto gruppo dirigente autoritario è perennemente assente dalla vita quotidiana del corso di laurea, ed é rappresentato unicamente dalla Segreteria, dove delle solerti ma incerte ragazze gentilmente comunicano a professori e studenti ciò di cui esse sono a conoscenza circa le regole emanate superiormente.

Invano ho cercato una spiegazione a questo strano fenomeno di psicologia sociale. Il Gurvitch, ad esempio, accennando al funzionamento delle relazioni interpersonali, sostiene che le convenzioni della cortesia appaiono come una tecnica istituzionale destinata a limitare gli impegni reciproci. Inoltre le nozioni di status, di potere, di dipendenza, hanno un ruolo importante nelle comprensione della dinamica delle relazioni fra persone. Cosicché la gelosia tra le persone di un gruppo risulta sempre da un paragone degli status e dei relativi trattamenti ricevuti: appare nei casi di trattamenti ineguali applicati a status ritenuti eguali. Le persone con uno status elevato restano volentieri sulla difensiva; ma il possesso di uno status elevato non conferisce necessariamente il potere, o piuttosto non conduce necessariamente a ricercare una soddisfazione nell'esercizio del potere; ciò in quanto il riconoscimento da parte degli altri di uno status più elevato é già in sé una importante soddisfazione, per cui gli altri si attendono sovente che il superiore se ne accontenti.

Queste conclusioni empiriche del Gurvitch peraltro sembrano spiegare ben poco. Nel fenomeno é in realtà questione di un atteggiamento autoritario a fior di pelle, palesemente determinato da un ego empirico sovradimensionato, circondato da molteplici cortecce difensive, che non nasce in un contesto di relazioni interpersonali esterne adulterate, ma che si é formato in conseguenza delle degenerazione psicologica (nevrotica) della corporazione accademica, in quanto "gruppo del noi" creatosi in una cultura di mafia cinicamente concepita e ordinata.

Non avendo io allora compreso queste cose, per me l'esperienza di questo centro di potere personale autoritario, muto e assente fu sconvolgente e triste. Come è possibile, mi dicevo, che persone di cultura, con enormi possibilità di esercitare una eletta e preziosa influenza a un tempo sui colleghi docenti e sugli studenti, scialacquino queste nobili opportunità culturali e morali in gratuite e inutili manifestazioni di autorità.

Mancanza assoluta di comunicazione. Nel campus di Gorizia non vi è alcun tipo di comunicazione, eccetto che fra studenti e alcuni pochi professori che sono loro vicini.

Per il resto si vive nel "silenzio radio", come i sottomarini in difesa o in attacco.

Mai una grande riunione di contatto con gli studenti in Aula Magna, per comunicazioni di portata generale sul corso di laurea, sul curriculum accademico, sui metodi di studio, sulla frequenza alle lezioni, sul calendario accademico annuale, sui possibili impieghi dopo la laurea, sulla cultura in generale, approfittando dell'occasione per consentire agli studenti di fare qualche osservazione, di esprimere le loro idee e i loro sentimenti.

Mai una riunione fra docenti per affrontare problemi cruciali di carattere didattico o culturale, che talora si trascinano da tempo senza che alcuno se ne preoccupi.

Il maestoso edificio dell'università è in permanenza per due terzi vuoto. Ci sono gli studenti, la segreteria, la biblioteca, la mensa e poi i professori che vengono per le lezioni. Arrivano sempre di corsa, a passo da bersagliere, e di corsa ripartono. Questa ossessionante fretta del corpo docente, e la sua apparente impossibilità di indugiare sia pure per poco fra gli studenti, genera l'impressione che fra i numerosi impegni di ciascuno, quelli relativi al corso di laurea tengano veramente l'ultimo posto.

Su 62 docenti in sette anni ho avuto modo di conoscerne di sfuggita non più di una decina. Non si poteva iniziare il minimo scambio di idee, perché l'interlocutore o entrava di fretta in un'aula, o ne usciva di fretta per andarsene.

Per fortuna che ci sono gli studenti, altrimenti mi sarei sentito come nell'erg del Ténéré nel Sahara. Sembra infatti che nel grande edificio ci siano solo studenti che studiano senza professori.

Assenza di costume democratico. In mancanza di una pratica regolare di riunioni, incontri e consultazioni durante l'anno accademico, ci si può solo riferire ai periodici Consigli di corso di laurea. Quando ero presente in Friuli per il corso o per esami, partecipai a qualcuna di queste riunioni, fino a rendermi conto della perfetta inutilità della mia presenza.

Gli Ordini del Giorno contenevano sempre gli stessi argomenti - piani di studio, pratiche studenti, modalità della tesi di laurea, calendario annuale, problemi organizzativi... Le riunioni si limitavano alla sanzione formale di decisioni di fatto già prese in precedenza. Chiaramente non avevano altro scopo che quello di una pura formalità amministrativa, essendo previsto che si dovessero tenere, per cui ci dovevano essere degli "atti". Presenze? In genere dai 10 ai 20 docenti, le altre decine essendo dichiarati, brevemente e di sfuggita, come "giustificati".

Al punto "varie ed eventuali" nessuno ovviamente osava sollevare qualcuno dei numerosi problemi pendenti sul funzionamento del corso di laurea, e tantomeno i "contrattisti" o i rappresentanti degli studenti. Non ricordo mai di aver udito, ad esempio, l'enunciazione da parte del presidente di un problema e delle sue alternative, con la richiesta dell'opinione dei presenti, o di una discussione in vista di una decisione consensuale o di maggioranza.

La mancanza di uno spirito democratico, anche su questioni perfettamente banali e neutre, era penoso. Se ben ricordo una volta la riunione terminò sul tardi e c'era poca luce. Tutti uscirono meno due docenti che restarono seduti come se fossero addormentati. Mi avvicinai per avvertirli, ma la donna delle pulizie mi disse: "Lasci stare, professore, sono dei manichini per far numero. Adesso li metto nell'armadio".

Meccanismo didattico ordinato in funzione degli interessi dei docenti, con esclusione di quelli degli studenti. Il corso di laurea di Gorizia può essere assimilato, anziché a una istituzione accademica, piuttosto a una impresa avicola. Una azienda per la produzione di polli che nella realtà sono degli studenti e che vengono ingrassati in nozioni invece che in peso di carne. Difatti gli studenti chiamano il corso di laurea l'"esamificio". E' perché l'insieme funziona in base a interessi di gestione, anche extraeconomici, della corporazione accademica, e non in base agli interessi dei polli che sono un semplice sottoprodotto dell'attività aziendale.

L'inconveniente più grave é quello della pratica di affidare corsi a docenti che non sono per essi competenti e preparati, ma che si intende piazzare o sistemare in una cattedra quale che sia onde soddisfare interessi legati a rapporti personali, quali scambi di favori, filiazioni accademiche, parentele, amicizie.

Tale pratica é favorita dai famosi "raggruppamenti disciplinari", già citati nel II capitolo, e basati su vere o supposte affinità epistemologiche tra materie di insegnamento. Il loro unico fine é di assicurare alla corporazione accademica la più assoluta libertà nella assegnazione delle cattedre a prescindere dalla formazione e dalle competenze dei docenti.

Purtroppo di questa pratica si fa a Gorizia un uso frequente recando un serio pregiudizio a un curriculum accademico che peraltro, come abbiamo visto, era stato all'origine concepito e ordinato con genialità ed efficacia didattica. Il danno per gli studenti é gravissimo, perché li costringe a seguire per un anno o un semestre le lezioni di un professore che non conosce la materia di insegnamento, in quanto é in effetti qualificato per un'altra (se lo é!).

A questo proposito posso citare solamente quei casi di cui sono venuto a conoscenza.

Corso di Storia Contemporanea nel quale il docente circoscrive il programma alla storia della Yugoslavia di Tito, probabilmente l'unica che conosceva.

Corso di Storia dell'Africa tenuto da un docente di Relazioni Internazionali, per cui la materia trattata si limita all'epoca coloniale, in pratica alla storia europea, mettendo in soffitta la vera e propria storia dell'Africa che corre per 12 secoli.

Corso di Diritto Internazionale tenuto da un laureato in Economia che insegna usando come libro di testo un riassunto della materia dalla collezione Bignami.

Corso di Cooperazione Internazionale allo Sviluppo: fu l'unico caso a Gorizia di un corso sdoppiato in due, di cui l'uno venne affidato a un diplomatico di valore, la cui esperienza in materia era peraltro stata breve e non valida, in quanto aveva avuto luogo alla Direzione Generale della Cooperazione del Ministero Esteri nel periodo Craxi-Andreotti e nelle note circostanze. Infatti, con la Legge 73 del 1985 improvvisamente erano comparsi ben 10.887 miliardi da spendersi in 3 anni, per cui manipolazioni e tangenti nell'impiego dei fondi pubblici raggiunsero forme inverosimili e scandalose. Il ministero degli Esteri fu invaso da operatori esterni e lobbies imposti dalla DC e dal PSI che fecero la pioggia e il bel tempo, esautorando completamente la funzione diplomatica che perse ogni potere di analisi, di decisione e di controllo delle spese. In una tale situazione nemmeno il più solerte dei diplomatici avrebbe potuto farsi una esperienza di cooperazione allo sviluppo come si pratica nel mondo internazionale. Per cui in questo corso mancavano buoni tre quarti della materia.

Ma in questa vicenda ci fu un caso limite che possiamo definire "strabiliante". In un anno in cui l'incaricato non era disponibile, onde tenergli il posto caldo, si provvide a designare un altro diplomatico. Questi si presentò all'Ufficio Documentazione della Direzione Generale del Ministero facendo presente che doveva insegnare Cooperazione Internazionale a Gorizia ma che, non essendosene mai occupato, non ne sapeva nulla. Chiese qualche documentazione che gli venne fornita. E' compulsando per la prima volta in vita sua qualche chilo di carte sul tema che tenne il suo corso. Ma é mai possibile! E gli studenti? Si sarebbe potuto consegnare quelle carte direttamente a loro! Oppure associarli all'altro dei due corsi che era tenuto da chi scrive, come del resto fu fatto l'anno successivo.

Ma ecco che, in capo a un altro anno, il corso venne nuovamente sdoppiato, e l'anno successivo nuovamente unificato. Questa volta in una operazione di "affiliazione accademica" i cui dettagli descriveremo alla fine di questa parte, a riprova, per il lettore, delle ingenue sottigliezze, degli intrighi messi in opera dalla mafia accademica nel perseguimento di interessi personali particolari.

Queste manipolazioni con le qualifiche didattiche dei docenti, oltre che altamente pregiudizievoli per gli studenti, costituiscono dei veri falsi in curriculum didattico. Diciamo ciò in senso discorsivo, e non ai termini dell' art. 493 del Codice Penale, sebbene non sia da escludere che la pratica possa un giorno suscitare l'interesse di qualche Procuratore della Repubblica come avviene coi prodotti commerciali portanti etichette non corrispondenti al vero. Infatti, anche quando si tratti di fornitura agli studenti dei servizi didattici previsti, nessun potere accademico può legittimamente arbitrarsi di chiamare pera una mela.

* * *

Sovente si proclama la "libertà didattica" dei docenti. Ma questa non é intesa in senso proprio, ossia come libertà di pensiero, di impostazione intellettuale, di idee o ideologie. Bensì come libertà di fare il proprio comodo, fino al punto di lasciare solo le briciole della propria attività e del proprio tempo all'insegnamento, che dovrebbe essere al contrario il fine unico o principale di una carriera universitaria ordinata dallo stato a spese dei contribuenti.

Qui viene in primo luogo l'abuso degli assistenti che sovente tengono buona parte del corso, e anche gli esami, in sostituzione del professore titolare occupato altrove. In realtà la loro funzione dovrebbe essere quella di "assistere", non di "sostituire". E' come se tutte le unità dell'esercito italiano fossero comandate da graduati e sottufficiali perché gli ufficiali sono occupati altrove. Ma ormai in tutti gli atenei italiani l'abuso degli assistenti é diventata più o meno la regola. E' una specie di "tangentopoli didattica" che però, va ricordato, non é priva anche di contenuti finanziari.

C'è poi il principio del tempo minimo obbligatorio per lo svolgimento di un corso, e il rigore nell'ammettere certe ineliminabili eccezioni. É chiaro che nel caso di un docente di fama internazionale, ad esempio di una celebre università britannica o statunitense, il vantaggio per gli studenti di ascoltarlo giustifica che si possa consentirgli di concentrare un corso in qualche settimana o in pochi giorni. Allo stesso modo, dei docenti non residenti in Regione (a Gorizia sono la grande maggioranza) dovrebbero poter concentrare le 50 ore di un corso annuale in 3-4 mesi, e le 25 ore di un corso semestrale in 4-6 settimane. Ma tutto ciò va programmato a ragion veduta. Non si può consentire l'intollerabile abuso di corsi concentrati in 10-15 giorni, dalla mattina alla sera, a tambur battente, solo per i comodi personali di un docente.

Ecco il caso di un docente di ruolo di Gorizia: fissazione di due date di esami nel mese riservato per questi, che sono peraltro immediatamente preceduti dal corso concentrato in una decina di ore; così, con una duplice violazione di norme, il docente se la sbriga in meno di un mese con Gorizia per un corso semestrale, esami compresi, e non lascia agli studenti nemmeno il suo recapito a Roma. E' sempre il sistema didattico tangenziale! La tutela esclusiva dell'interesse proprio con grave sacrificio di quello degli studenti.

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E adesso veniamo agli esami. Anche questo per gli studenti é un problema disperante, dato che devono sostenere 36 esami in 4 anni, con una media di 3 per ogni sessione della durata di un mese.

Qui incide in modo doloroso e crudele la negligenza dei professori dovuta alla loro permanente fretta. La fretta negli esami è un fatto disastroso perché viene a eliminare l'unica e la migliore occasione di conoscere più intimamente uno studente, a tu per tu, nelle sue capacità di studio, e nel suo pensiero, temperamento e valore intellettuale.

In 7 anni, da parte mia, ho sempre esaminato a un ritmo di circa 3 studenti all'ora. E sempre con un minimo di 8-10 domande distribuite sulle diverse parti del programma. Ma mi capitò di assistere a esami di tipo telegrafico: - "Su quale testo si è preparato?" - "Testo X" - "Bene" - Prima domanda - Lo studente si concentra per la risposta - Seconda domanda - Qualche incertezza dello studente per raccogliere le idee - "Vada, non è preparato". Ma come, chiesi una volta al collega, io faccio 8-10 domande... - "E che dovrei fare io alla mia università dove sono in 3.000?" - "Si, ma qui fuori della porta sono in dieci!"

Non parliamo poi dei casi in cui la fretta del professore soffia come i venti di un ciclone a Capo Horn. Un giorno solo disponibile. Obiettivo 30 esami. Il docente di qua, un assistente di là, un altro assistente da un'altra parte, tutto sotto pressione. A momenti il docente salta di qua e di là per aggiungere delle domande di controllo a quelle già poste dai due assistenti. Appunto: è solo un'operazione di controllo del peso dei pollastri sulla bilancia.

E poi il caso del testo di 1.500 pagine! Lo studente si prepara con scrupolo per settimane perché la materia è vasta e complessa - 1.500 pagine - e lo studente tiene molto alla media. Vuole arrivare a 30 e lode. Ma il professore ha fretta per cui fa una sola domanda e poi - Va bene, 30, vada pure. Ecco l'"esamificio"!

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La questione delle tesi! Molti professori cercano deliberatamente di evitare le tesi, perché ciò comporta per loro un lavoro addizionale, o perché non si sentono la capacità di seguirle. O addirittura dichiarano esplicitamente di non volersene occupare. Ma gli studenti, da parte loro, hanno il pieno diritto di proporre tesi nella materia da loro prescelta. Un docente può esprimere riserve sul titolo o voler discutere il contenuto della tesi o l'impostazione. Ma non può rifiutarsi di occuparsi di tesi, perché queste rientrano nei suoi precisi doveri. Un rifiuto costituisce un illecito professionale. Ma si sa, nella corporazione accademica italiana ci sono solo privilegi, mai obblighi o doveri.

Questo problema è inoltre reso oltremodo difficoltoso e complicato per via della regola, tipica del "sistema", per cui se il docente relatore è a contratto, almeno il correlatore deve essere un docente di ruolo (ordinario o associato). Allorché, come a Gorizia, su 62 docenti ce ne sono 44 a contratto e 18 di ruolo; e che fra questi ultimi solo un certo numero insegna una materia appartenente all'area disciplinare della tesi; che di questo numero solo alcuni sono presenti a Gorizia o non troppo difficilmente raggiungibili; si comprende come il reperimento del "correlatore" sia una impresa improba. Per fortuna ci sono due o tre anime sante di professori di ruolo che si sobbarcano le funzioni di correlatori in un numero eccessivo di tesi.

Secondo problema relativo alle tesi. L'argomento può essere totalmente estraneo al sapere del docente di ruolo operante come correlatore, specie in una materia come la Cooperazione allo Sviluppo (per es. "Uso dell'energia solare ed eolica"). E allora quale può essere la sua funzione?

Inoltre molti docenti di oggi, per una specie di deformazione professionale accademica, tengono a figurare come specialisti nella loro materia; e per accentuare il proposito, intendono mantenersi estranei ad altre discipline, anche se collaterali, quindi in sostanza alla cultura nel suo complesso. Ciò per fortuna non si verifica con i docenti a contratto che in genere, per le esperienza fatte, hanno una cultura più diversificata, della quale la loro o le loro eventuali specialità non ne sono che dei singoli aspetti.

Quando ci si trova nel primo caso, si ha il fenomeno già citato del film Prova d'orchestra di Fellini. I docenti sviluppano una sorta di etnocentrismo di scuola in difesa dell'autonomia scientifica della loro disciplina, fino a degenerare in forme di imperialismo dottrinale come chiave di soluzione a ogni possibile problema. Ciò si verifica particolarmente nel campo delle scienze sociali. Allora, l'ego empirico aiutando, la tesi deve per forza contenere riferimenti all'altra disciplina, almeno in qualche frase o qualche termine, anche se non pertinenti. Tali problemi ovviamente non esistono per gli accademici di solida cultura, che non pongono limiti al dominio dello spirito e alla ricerca della realtà. E insegnano agli studenti a fare altrettanto. Il Dalai Lama, ad esempio, qualcuno potrebbe figurarselo come uno "specialista del trascendente". Ma non è vero perché egli, pur non essendo un Fisico, segue con estremo interesse i risultati degli studi sulla fisica delle particelle, appunto per le connessioni possibili fra i mondi fenomenico e noumenico.

* * *

Possiamo concludere con la solenne cerimonia della laurea, o che almeno tale dovrebbe essere.

Anche qui la Commissione di Laurea si riunisce di fretta, con docenti che entrano ancora infilandosi la toga. Il presidente può ad esempio annunciare lo spostamento dei primi due laureandi a più tardi "perché il Relatore può venire solo alle undici".

L'atmosfera è strettamente burocratica. La Commissione di Laurea assomiglia al comitato dell'antico Ministero delle Poste e Telegrafi per la selezione dei postini. Un docente si alza di fretta e se ne va. Un altro entra, sempre di fretta, vagamente scusandosi. "Avanti, dice il presidente, un altro laureando!". Ciò mentre una laureata, dopo avere ascoltato in piedi e commossa la formula che la dichiara, di fretta, "Dottore in Scienze Internazionali e Diplomatiche", sfila davanti alla commissione per dare la mano ai presenti.

Ma un giorno ci fu una scena profondamente triste. Una studentessa aveva preparato la tesi per mesi, con scrupolo, con passione, in un continuo alternarsi di momenti di sconforto e di fiducia. Poverina, ce l'aveva proprio messa tutta. Era giunta accompagnata dalla famiglia e da amici intimi, che volevano farle coraggio, darle un sostegno morale.

Una volta in presenza della Commissione di Laurea, mentre un professore si alzava per andarsene stringendo la mano ad alcuni colleghi, si accorge che il docente suo relatore era assente. E non mette molto a capire che il docente correlatore, in realtà, la sua tesi non l'aveva letta.

Si era lungamente preparata a fare una esposizione brillante su diversi temi della tesi fra i più complessi. Ma, data la situazione le venne fatta una domanda incolore che la umiliò. Cominciò la sua esposizione che non riuscì a proseguire come avrebbe voluto perché... "Beh, va bene, vada pure". Uscì. Rientrò a ricevere un voto buono che forse appena udì. C'era anche il padre con la macchina fotografica, per un ricordo di questo grande momento della vita della sua figliola. Poté fotografare il "bla-bla-bla" della formula di consacrazione a dottore, e le rapide strette di mano ai docenti della commissione.

Poi la pollastra neo-dottoressa, tenuta per le zampe legate e con la testa all'ingiù, venne consegnata attraverso il buio cunicolo nel successivo corridoio a parenti, amici e compagni che la attendevano festanti.

Atteggiamento nei riguardi dei docenti a contratto. Questo atteggiamento sarebbe indegno anche se per avventura i professori a contratto fossero uno solo. Figuriamoci poi a Gorizia dove rappresentano i due terzi dei docenti.

Da notare anzitutto la angosciosa pignoleria delle disposizioni scritte intese a precisare i diritti dei 18 docenti di ruolo (5 ordinari, 7 associati, 6 ricercatori) e le discriminazioni nei riguardi dei 44 docenti a contratto. Ogni occasione è buona, anche la più banale e insignificante, per riaffermare la discriminazione, e ciò con infinite ossessionanti ripetizioni.

Un fiorellino! Se un docente a contratto è relatore su una tesi, ma alla data della Commissione di Laurea ha cessato dalle sue funzioni, è prescritto che diventi relatore un docente di ruolo. Potrà allora fungere solo da correlatore. Senonché, essendo stato a contratto, non è più un "professore", ma uno spettro, per cui gli si è trovato il divertente appellativo di "esperto nella materia". Queste ridicole e pietose acrobazie per difendere una corporazione accademica nata male, grazie alla partitocrazia e a concorsi di cattedra truccati, non ha evidentemente alcun vero significato ne alcuna portata reale. Per la società, e per gli studenti, i professori sono professori e i somari sono somari, quali che siano le "categorie" loro assegnate.

Gli studenti del resto valutano l'insegnamento non in base alle categorie accademiche formali, ma in base alle effettive capacità dei docenti. Prendendo un anno qualsiasi, possiamo trovare difatti tre liste. Un esempio:

  1. Docenti "super" ("Sullo scudo") - colti, intelligenti, competenti, dalle lezioni appassionanti, che aiutano gli studenti. Su 13 troviamo 2 ordinari, 3 associati, nessun ricercatore, 8 contrattisti.

  2. Docenti "nulli" ("Dietro alla lavagna") - privi di vera cultura, incompetenti, incomprensibili, noiosi, che non si occupano degli studenti. Su 13: 4 ordinari, 1 associato, 2 ricercatori, 6 contrattisti.

  3. Docenti "Senza infamia e senza lode" - Su 13: nessun ordinario, 3 associati, 4 ricercatori, 6 contrattisti.

In realtà molti professori a contratto possono essere considerati come accademicamente uguali o superiori ai docenti di ruolo. E ciò per cultura, sapere scientifico, esperienze professionali, opere pubblicate, cariche occupate nella vita pubblica o privata. Dovrebbero essere trattati con la dovuta considerazione, comunque con rispetto, almeno con cortesia, quantomeno secondo le regole minime della buona educazione.

Per esempio dovrebbero ricevere dalla Direzione del Corso di Laurea o della Facoltà due righe di comunicazione alla assegnazione di un corso. E alla fine di questo due righe di ringraziamento e di apprezzamento per l'opera svolta. Invece no! All'inizio c'è una semplice telefonata per chiedere la disponibilità all'insegnamento. Come per chiamare un idraulico o un elettricista. E alla fine del corso nemmeno quella. Un docente a contratto può così trovarsi a dover lavorare durante l'autunno su tesi o documenti di aggiornamento per gli studenti, in previsione di un rinnovo del corso, per poi scoprire che 4 mesi prima era stato sostituito con altri.

Il comportamento dei responsabili di Trieste e di Gorizia nei riguardi dei docenti a contratto è francamente offensivo, totalmente al di fuori delle più elementari regole della buona educazione, se non altro formali.

In nessun continente o paese, del Nord o del Sud, in nessuna società tradizionale o moderna, in nessun gruppo sociale particolare con sue proprie consuetudini di comunicazione - sia esso di natura religiosa, militare, scientifica, professionale, industriale, commerciale - è dato trovare una così radicale atonia in materia di buone maniere.

E dire che ci troviamo in una regione veneta dove, come nelle altre due, la sensibilità e la cortesia fanno parte del costume, della mentalità e della tradizione; che la nostra cultura mitteleuropea porta ancora tracce che si ricollegano alla civiltà imperiale austro-ungarica.

In verità il potere, quando si fonda su una effettiva autorità morale e culturale, su un autentico prestigio intellettuale creativo e realizzatore, sta in piedi da solo. Non ha bisogno di villanie o di "musi" per tentare in qualche modo di puntellarsi. Ciò che questo tipo di potere incontra davanti a sé è solo il silenzio, da esso magari a torto persino auspicato. Ma non si deve dimenticare che è un silenzio solo nei suoi confronti. Perché intorno a esso continua la vita di una intensa comunicazione civile e umana, quella degli studenti.


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