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3.4 Il ritorno dell'Italia sulla scena europea

Dopo questo lungo periodo di anonimato storico, dal 15° al 18° secolo, il rientro dell'Italia sulla scena europea fu promosso essenzialmente dall'esterno. E dopo l'unità la tecnica democratica di selezione elettorale della classe politica non poteva da sola supplire alla carenza generale di spirito pubblico, che si espresse sempre più nel favorire l'ascesa politica di elementi nei quali il supporto di tipo clientelare prevaleva sul fatto reale di merito e capacità. Nacque così una forma ibrida di democrazia incompiuta di taglio clientelare, corruttrice e corruttibile, basata sulla pratica parlamentare del trasformismo e sulla consuetudine del sistematico voto di scambio, nato sul piano individuale di singoli parlamentari, quanto nei confronti di gruppi di interessi particolari attivi nel sociale a danno di quelli pubblici, spesso collegati a sfere malavitose.

La classe politica si dimostrò all'altezza della situazione solo in due occasioni al tempo della Destra storica, giunta al governo nel 1861, e in occasione della Costituente del 1946, dopo il periodo fascista, la guerra e la Resistenza.

Ma a entrambe queste maggioranze di qualità seguirono serie di leve elettorali attraverso le quali ricomparve, in modo crescente e spettacolare, quella gestione clientelare e trasversale del potere che é sembrata ancora oggi la più congeniale allo spirito pubblico di una maggioranza della società civile almeno durante tutto il corso della prima Repubblica.

Questo riassunto delle pagine di Carlo Tullio-Altan, troppo breve per ragioni di spazio, é appena sufficiente alla comprensione del corso storico del nostro paese, per cui vorrei raccomandare a tutti gli studenti italiani di studiare bene l'opera "Ethnos e Civiltà". Perché solo così potranno comprendere come siamo giunti alla partitocrazia e al consociativismo della prima Repubblica, a tangentopoli e alla attuale indegna situazione dell'università in Italia.

Gli studenti italiani hanno, con gli altri in Europa, abbozzato nel '68 una rivoluzione culturale che il nostro paese ha bisogno di vedere rialimentata, anche se con mezzi e obiettivi diversi da quelli di 30 anni fa. Pertanto vorrei dire loro che é soprattutto contro gli aspetti fondamentali e strutturali dell'università che devono mobilitarsi, perché gli altri aspetti, come la insufficienza dei mezzi di studio, oggetto delle recenti contestazioni, non ne sono che una conseguenza.

Prima degli anni Settanta i docenti erano 1.900 e oggi sono 52.000. Pur tenendo conto degli atenei che si sono aggiunti, se tutti facessero il loro dovere, interamente dedicati agli studenti, con un numero di ore di lezione rigorosamente prescritto e rispettato, il ministero potrebbe risparmiare molte migliaia di stipendi che potrebbero andare ad aumentare i fondi per i mezzi di studio. E' inoltre necessario alleggerire il corpo accademico dai somari ridando contenuto, rigore ed efficacia ai concorsi di cattedra. Perché la nostra presenza in Europa non é soltanto una questione di "euro" e di progressi economici, ma anche, anzi soprattutto, di prestigio culturale ed accademico.

Attualmente i titoli universitari italiani non sono riconosciuti nell'Unione Europea, né per le docenze, né per le lauree. Che vergogna!


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